Lo sfruttamento del potassio in Dancalia: Dallol e Allana Potash

Etiopia: Fattore K

La Dancalia, gli affari, il potere

Fattore K – A.Semplici – Nigrizia Articolo PDF

Articolo di Andrea Semplici http://www.andreasemplici.it/cms/

Da Nigrizia di ottobre 2010: http://www.nigrizia.it/sito/notizie_pagina.aspx?Id=10122

Giacimenti di potassio nell’area di Dallol, nel deserto dancalo. Ai primi del ’900 hanno fatto gola alla Compagnia mineraria italiana e poi, dopo la Seconda guerra mondiale, a una multinazionale Usa vicina alla Cia. Oggi, per questo concime chimico molto ricercato, è in campo una società mineraria canadese, che ha assoldato un ex comandante Onu a Sarajevo e che potrebbe mettere d’accordo Addis Abeba e Asmara. Ma delle ricadute ambientali nessuno si preoccupa.

Dk-10-01. Il linguaggio delle società minerarie, come tutti i linguaggi tecnici, deve essere decriptato. Niente è trasparente e comprensibile. Gli acronimi non spiegano: è roba da addetti ai lavori. Le due lettere e i quattro numeri indicano un pozzo profondo, trivellato poche settimane fa in un angolo della Dancalia, nell’Etiopia più lontana, a meno di venti chilometri di distanza dall’instabile confine con l’Eritrea.

Il giacimento di potassio (il potassio è K nella tavola degli elementi), frammento di una riserva valutata in 105 milioni di tonnellate, è poco oltre i cento metri di profondità. Il primo scavo è stato completato il 13 luglio scorso. Si è lavorato proprio quando le temperature, in una delle fornaci della terra, sono insopportabili. In estate, fra maggio e settembre, non si cava più nemmeno il sale in questo deserto, che è una delle più profonde depressioni terrestri. In quei mesi, laggiù, tutto è immobile: nessuna carovana si azzarda ad avvicinarsi alla Piana del Sale. Ma, quest’anno, questo deserto, assoluto e inospitale, è stato popolato da geologi canadesi e olandesi, ingegneri giramondo che hanno trivellato la crosta salina per verificare con i propri occhi l’esistenza di uno dei più grandi giacimenti di potassio al mondo.

Farhad Abasov, riservatissimo amministratore delegato dell’Allana Potash, nuova multinazionale del potassio, non ha nascosto la sua soddisfazione: «Dopo quarant’anni, viene scavato un nuovo pozzo in Dancalia». A leggere i comunicati ufficiali, quanto è stato trovato è superiore alle previsioni più ottimistiche dei geologi canadesi. La corsa mondiale al potassio appare oggi più frenetica dell’antico assalto ai filoni d’oro in Alaska. E passa anche per le solitudini della Dancalia. Questa è una storia di denaro e potere.

Mi sono imbattuto nell’Allana Potash mentre stavo scrivendo un romanzo ambientato in Dancalia. Avrei dovuto accorgermene ben prima. Durante il mio ultimo viaggio, lo scorso febbraio, avevo pur visto ingegneri al lavoro con il teodolite e caterpillar cinesi sbancare intere colate di lava per costruire nuove strade. C’era già un micro villaggio di container, destinato a ospitare i futuri trivellatori. Ma solo ora, grazie al web e ad amici esperti della storia della Dancalia, ho messo in fila i protagonisti di una storia durata cento anni. Una storia in una terra che è difficile anche immaginare. Un deserto di lava, sale, geyser, polvere, potenze geotermiche. Un deserto di vulcani e fondali marini riemersi. Eppure, i potenti degli affari hanno avuto tempo e occhio anche per queste solitudini.

All’inizio, gli italiani

Questa storia ha mosso i suoi primi passi un secolo fa. Furono due fratelli, a loro modo straordinari (geologi autodidatti, avventurieri all’Indiana Jones, cercatori di miniere in giro per il mondo), a rendersi conto che sotto Dallol vi era del potassio. E, speravano, anche molto altro. Erano i fratelli Adriano e Tullio Pastori: arrivati in Dancalia ai primi del ’900, furono forse i primi occhi bianchi a scorgere la terribile meraviglia di Dallol. Dallol è una sorta di isola ai confini della Piana del Sale, un vulcano bizzarro e fantastico, un’architettura geologica di geyser, acque ribollenti, pinnacoli, micro vulcani, concrezioni saline, pozze dai colori fuori gamma. È attorno a questo isolotto che vi sono i depositi di potassio.

I due fratelli Pastori se ne accorsero e riuscirono, nel 1912, a ottenere una concessione mineraria dal Negus d’Etiopia (che mal controllava questa regione estrema del suo regno, ai confini della colonia italiana dell’Eritrea). La concessione aveva una durata di 35 anni. Un affare troppo grande per i due fratelli. La concessione, senza che nulla fosse rivelato agli etiopici, passò di mano nel 1917: per sfruttare il potassio della Dancalia scese in campo una “multinazionale” italiana, la Compagnia mineraria coloniale (Cmc), fondata a Tripoli, in Libia, con sede amministrativa a Torino e direzione tecnica ad Asmara, capitale della colonia italiana dell’Eritrea.

La Compagnia era controllata dalla Banca Italiana di Sconto, istituto di credito legato alla grande e nascente industria del nord (Fiat, Ansaldo). Il suo principale azionista si chiamava Giovanni Agnelli, il capostipite. Erano gli anni della Prima guerra mondiale e gli industriali del nord (l’amministratore delegato era Riccardo Gualino, fondatore della Snia-Viscosa) trovarono tempo e denaro per occuparsi di una cava in Dancalia. In guerra c’è sempre chi muore e chi fa i soldi.

Il potassio, in quei tempi di conflitto, era merce preziosa. La più grande miniera era a Stassfurt, territorio prussiano, territorio nemico. E il potassio, allora, serviva per fabbricare munizioni. A partire dal 1917, i cavatori di Dallol spedirono in Occidente 20mila tonnellate l’anno di sali potassici. Fu perfino costruita una sorprendente ferrovia a scartamento ridotto, per soli usi industriali, fra il confine dell’Eritrea e le coste del Mar Rosso. La Compagnia è definita «misteriosa» da chi ne ha studiato la storia.

Ma le guerre non durano in eterno. Finito il primo conflitto mondiale, anche il business del potassio dancalo declinò. Gli italiani, per qualche anno, lo vendettero ai giapponesi, ma la Compagnia non era più un grande affare per i magnati torinesi e fu liquidata nel 1929. La miniera fu abbandonata a sé stessa. E nel deserto dancalo furono dimenticati, senza salari né cibo, operai e tecnici. Nessuno ha speso una parola per dirci il destino degli “indigeni” che avevano lavorato a Dallol: gli afar, popolo di quella terra, non hanno mai avuto cantori.

L’ultimo presidente della Compagnia fu Ostilio Severini, un chimico italiano. Un prestanome più che un amministratore, così a occhio. Con una coincidenza: Severini aveva realizzato il primo impianto italiano di fosgene, uno dei gas tossici che saranno riversati sull’altopiano etiopico durante l’invasione italiana.

Il ciclo americano

Tullio Pastori era un testardo. Dopo la chiusura della Cmc, tornò in Dancalia. Nel 1933, vigilia dell’invasione italiana dell’Etiopia, ottenne dal Negus una seconda concessione mineraria. Ma, ancora una volta, era un pesce piccolo: in mano aveva carta straccia. Finì la Seconda guerra mondiale. L’Impero africano dell’Italia fascista era già stato spazzato via dal 1941.

Nel dopo-guerra sono gli americani ad andare in Dancalia. Al posto di Giovanni Agnelli, c’è un uomo che s’è fatto da solo, figlio di un pescatore di Long Island. Si chiama Ralph Parsons, un ingegnere aeronautico. Nel 1944 ha fondato un’azienda di ingegneristica e costruzioni. È un tipo sveglio: ha inventato nuove tecniche di scavo e ha intuito il valore del potassio etiopico. E anche lui ottiene una concessione da Hailé Selassié, l’imperatore, fedele alleato degli Stati Uniti.

In nove anni di prospezioni, la Ralph Parsons Corporation scava 300 pozzi attorno a Dallol. Cercano e trovano il giacimento di potassio. Ma ad Asmara, nei circoli italiani, si è sicuri che, sotto la crosta salina, gli americani stiano cercando uranio (sono i primi anni dell’era atomica e c’è la corsa agli armamenti nucleari). Di certo, voci senza fondamento. Ma Ralph Parsons non è un tycoon qualsiasi. In passato è stato amico e socio di John McCone, un altro ingegnere californiano, un altro businessman destinato a diventare prima direttore della Commissione atomica degli Stati Uniti e poi, fra il 1961 e il 1965, anni duri della Guerra fredda, potente direttore della Cia. Proprio negli anni in cui Parsons è al lavoro in Dancalia. Solo coincidenze?

Ma nemmeno la storia della Ralph Parsons finisce bene: i pozzi sono invasi da acque sotterranee; i loro cantieri diventano un obiettivo per la nascente guerriglia indipendentista degli eritrei; i siti aperti presso Dallol sono indifendibili. Così, nel 1967, gli americani devono sloggiare dalla Dancalia in tutta fretta. Con la Parsons Corporation lavoravano anche aziende canadesi, i cui tecnici sono i migliori al mondo (non a caso in Canada si trova il più grande giacimento di potassio). L’italiano Piero Crossino, uno dei responsabili tecnici della Ralph Parsons, rivela a Luca Lupi, il più scrupoloso dei ricercatori italiani che si sono occupati di Dancalia, di aver il dubbio che i canadesi volessero, in realtà, quasi boicottare il giacimento di Dallol: «Sarebbero crollati i prezzi sul mercato». A rimetterci sarebbero state proprio le grandi società minerarie canadesi.

Canadesi e… cinesi

Scacciati italiani e americani, in Dancalia ricompaiono i canadesi. Sono cocciuti e riservati. Fanno parte della casta dei supermanager. E sono prontissimi ad allearsi con i cinesi, nuovi protagonisti dell’economia africana. I cinesi investono due milioni di dollari nell’Allana Potash. Canadesi, cinesi e australiani vogliono scoperchiare tutta la Dancalia per cavarne via i 105 milioni di tonnellate di potassio.

Farhad Abasov ha buone ragioni per esaltare la sua società: il potassio è il più universale dei concimi chimici; aumenta il rendimento dei terreni; accresce la resistenza delle piante alle malattie; il suo prezzo si sta di nuovo impennando (ha già raggiunto i 600 dollari per tonnellata e le quotazioni del minerale sono raddoppiate in un anno). In questi mesi, è in corso una guerra violenta fra le grandi multinazionali minerarie per accaparrarsi le riserve disponibili di K. Le previsioni di un forte aumento dei consumi di cibo (da parte di cinesi e indiani, soprattutto) e la diminuzione di terre arabili sul pianeta (da un terzo a un quinto di ettaro pro capite in 30 anni) stanno facendo impazzire il prezzo del potassio e dei fertilizzanti chimici.

Cinque paesi (Canada, Russia, Bielorussia, Germania e Brasile) controllano il 97% delle riserve mondiali. Il Canada, da solo, grazie all’immenso giacimento di Saktchewan, ne possiede ben più della metà. E oltre 150 nazioni sono costrette a fare la fila davanti alla porta di questi colossi minerari per avere potassio per le loro terre. Cina, India e Corea stanno comprandosi mezza Africa per coltivare il cibo destinato alla loro popolazione e hanno bisogno di potassio per spremere queste nuove terre.

Il destino della Dancalia appare segnato. Il risiko minerario dancalo è lo specchio dei nostri tempi: anche indiani e australiani hanno concessioni in Dancalia. I cinesi stanno asfaltando le antiche piste dei nomadi afar e dei cavatori del sale. I canadesi spiegano che il potenziale del giacimento è superiore a quello, grandissimo, degli Urali. Hanno ottenuto una concessione per 150 km2, un quarto della superficie della Piana del Sale.

 

I documenti dell’Allana Potash hanno un pregio: non sono reticenti e affermano che occorrono investitori (non bastano i cinesi della China Mineral United Management). E allora cercano di attrarre compratori delle azioni della compagnia, magnificando al meglio la loro merce. Per convincere i più dubbiosi, non esitano a sostenere che l’Etiopia è «un paese con una forte crescita economica e un ambiente favorevole agli investimenti» (senza dire che sta quasi in fondo alla lista delle nazioni per sviluppo umano: dodici posizioni dall’ultima). Dicono che in Etiopia non c’è corruzione. E rassicurano che in Dancalia «non esistono problemi legati a questioni ambientali ». Come dire: in uno dei luoghi più fragili della terra, nessuna emergenza ambientale può ostacolarci.

Insistono poi sulle «grandi potenzialità » dell’investimento e sul «facile accesso » ai porti sulla costa del Mar Rosso per l’esportazione del potassio. Osano addirittura segnare sulle loro mappe il tracciato della ferrovia fino alla baia di Marsa Fatma (ricalcando quello percorso dagli italiani). Peccato che non dicano che, fra il giacimento e il mare, c’è il confine con l’Eritrea, che quella frontiera non è mai stata veramente demarcata, e che vi sono schierati eserciti in armi, in un perenne stato di guerra-non guerra fra Addis Abeba e Asmara. Tanto varrebbe dire che da quella parte non si passa. A meno che – e qualche circolo diplomatico già lo sussurra – l’Eritrea non venga meno alla sua intransigenza e bellicosità, convinta dal denaro figlio del potassio. Potenza degli affari!

Altro dettaglio non irrilevante: la Allana Potash avverte che la cava avrebbe il più basso costo di gestione al mondo. Ovunque occorrono soldi per cavare potassio, ma in Etiopia il costo del lavoro è «significativamente più basso».

La galleria fotografica offerta dal sito dell’Allana Potash è accurata e gli investitori possono ammirare le meraviglie geyseriane di Dallol. Le didascalie, però, rasentano l’ineleganza, quando avvertono: «È nostra proprietà».

Un’ultima curiosità: fra i direttori della società canadese, oltre a grandi esperti di oro, potassio e uranio, c’è un generale in pensione. Non un generale qualsiasi, ma Lewis MacKenzie, ex comandante, molto discusso, delle Nazioni Unite a Sarajevo. Che ci fa un generale, dalla fama di filo-serbo, in una società mineraria?

Quante coincidenze per il fattore K in terra di Dancalia! Il filo rosso degli affari, tessuto in un secolo da Giovanni Agnelli senior, da una multinazionale in qualche modo vicina alla Cia e da una spregiudicata società mineraria canadese, sembra oggi chiudersi. L’Africa è solo il teatro che ospita una commedia di soldi e potere, il palcoscenico della casta dei potenti della terra.

Il 23 agosto scorso, la Allana Potash ha perforato un altro pozzo. Si chiama Dk-10-04. Il paesaggio della Dancalia appare destinato a cambiare.

Nota bene

Le notizie storiche sulla cava di Dallol sono tratte dai libri-enciclopedia di Luca Lupi, Dancalia, editi dall’Istituto geografico militare.

I documenti dell’Allana Potash sono sul sito della multinazionale:

http://www.allanapotash.com/s/Ethiopia_Project.asp?ReportID=373997

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