Nuovo libro sulla Dancalia di Andrea Semplici

Camminando sul fondo di un mare scomparso

di Andrea Semplici

La storia d’amore fra un uomo e un lembo d’Africa. Un luogo unico al mondo: siamo nel punto più basso della Terra, a oltre 100 metri sotto il livello del mare. Camminiamo sul fondo di un oceano scomparso, fra deserti bianchi, rocce turchine, fontane di lava. “Qui la Creazione non è ancora terminata. Il fuoco è appena sotto i nostri piedi.” Le storie dei turisti, ancora pochi, e le vite dei carovanieri del sale s’intrecciano con quelle degli esploratori italiani, che all’inizio del ’900 scelsero questi paesaggi estremi per le loro avventure. Ma la Dancalia è degli afar: un popolo enigmatico e schivo, un’umanità impenetrabile che persino i doni e le lusinghe dei cinesi, nuovi proprietari delle miniere, faticano a scalfire. La Dancalia è un antidoto, contro ogni stereotipo sull’Africa. Volti e scenari da scoprire oggi, prima che il turismo e le multinazionali minerarie cambino la geografia di questi deserti, ai confini fra Etiopia ed Eritrea.

Prezzo € 14,00
Editore Terre di Mezzo
Anno pubblicazione 2012
Numero pagine 185
ISBN 9788861892255
Collana Sconfinamenti

http://libri.terre.it/libri/collana/21/libro/370/Dancalia—Camminando-sul-fondo-di-un-mare-scomparso

Ogni volta che mi chiedono della Dancalia, non spiego la geografia, tradisco le regole del giornalismo. Dico: ‘La Dancalia è un antidoto’. Per me, è stata un antidoto. Contro ogni stereotipo sull’Africa, contro ogni luogo comune sulla ‘diversità’. La Dancalia smantella, se hai occhi e cuore per vedere, ogni immagine che i bianchi hanno cullato sull’Africa. Su un mondo che, forse, non riusciremo a mai capire. Questo è un libro di viaggio. Che non è un libro di viaggio.

La Dancalia, deserto di lava e sale, ai confini fra Etiopia ed Eritrea, è stata, per anni, un’ossessione leggera. Non l’ho capito subito, ma lei è stata testarda: ha scavato dentro di me come un tarlo che aveva il tempo della pazienza. Alla fine, dopo viaggi falliti e viaggi riusciti, ho dovuto scriverne. Ma questo non è libro sulla Dancalia. Mi ostino a credere che In Patagonia non sia un libro sulla Patagonia e sono certo che Moby Dick non sia un manuale per la caccia alle balene. La Dancalia mi ha aiutato, mi ha dato uno sfondo straordinario, gran parte delle parole, ma questo libro parla della ‘diversità’. Della impossibilità di comprendere ‘la diversità’. Si può solo raccontare, descrivere, narrare. Niente di più. Solo i superbi credono di capire.

Ho voluto scrivere questo libro attorno alla Dancalia. Nessuna committenza. Volevo compiere un gesto di gratitudine per una terra che mi ha socchiuso le sue porte. Volevo dire degli afar. Sono in debito con loro. Soprattutto volevo raccontare della diversità, la diversità assoluta che ci separa da questa gente e dal luogo dove vive. Volevo che le diversità, la nostra e la loro, si guardassero. Si accettassero l’un con l’altra. Solo in questa accettazione le diversità possono convivere. Non so quanto tutto questo si possa vedere nella filigrana della mia scrittura. Ho avuto bisogna di trecento pagine. Poi il libro si è accorciato, una editor brava e spiazzante è riuscita a renderlo essenziale come il deserto. Adesso ho il dubbio di averlo scritto per compiere un saluto, l’ultimo saluto a una Dancalia che non esiste più. In questa terra, quando si va via non ci volta indietro. Mai. E io, contravvenendo alla regola, l’ho fatto. Non potevo andarmene senza un gesto di affetto verso la Dancalia. Ho fiducia nell’orgoglio afar. Conosco la loro testardaggine. Spero che rimangano padroni del loro destino adesso che, nelle loro terre, sono arrivati il turismo e le compagnie minerarie. Non ho nostalgie – questa è una bugia – però è vero che mi interessa – faccio il cronista, in fondo – il cambiamento della loro società e della loro geografia. Mi interessa ciò che accade dopo i titoli di coda di un libro.

Andrea Semplici

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