Diario di viaggio, gennaio 2012

La Nostra Africa.  Diario di viaggio di una spedizione insolita

Dancalia (Etiopia) – Gennaio 2012

 di Giulia Bravi e Valentina Gambicorti

«Certe emozioni è meglio scriverle a caldo, per non correre il rischio di far svanire lentamente i ricordi ed, insieme a loro, l’euforia e l’impeto nel trasportarli per iscritto. Così eccomi qua davanti a questa pagina bianca, a poco meno di due giorni dal nostro rientro in Italia, a ripecorrere gli avvenimenti dell’ultima settimana, con Facebook aperto per rivedere le foto che tutti noi stiamo pubblicando e per ricordare ogni singolo istante di questa nostra bellissima avventura, sperando he la lettura di questo diario di viaggio faccia sognare un po’ tutti…» (Valentina)

 «Ricordo ancora il giorno in cui la Vale mi contattò per comunicarmi del viaggio in Dancalia; andai subito a sbirciare tra le foto presenti sul web e quasi mi commossi di fronte all’opportunità di poter vivere quell’esperienza unica. Così, su due piedi contattai Luca. Seguirono giorni in cui la gioia di partire si alternava al timore di non essere all’altezza dell’avventura.  E così il grande giorno: adrenalina, paura, gioia, curiosità, malinconia, coraggio.. Lascio alle pagine del diario il resoconto delle giornate passate insieme in quella terra dove la sola cosa da fare è lasciarsi guidare dalla sua imprevedibilità, che è poi la sua affascinante bellezza. Scrivere il diario è stato molto divertente, tanto quanto rileggerlo ora..nelle mie pagine ritrovo i miei pensieri, scritti in blu, alternati ai pensieri, in nero, di Gelasio, che ogni giorno al rientro alla base, mi dettava minuziosamente, e condiva con aneddoti esilaranti facendosi guidare dalla sua ironica e fervente immaginazione». (Giulia)

Venerdì 13 Gennaio 2012

Siamo stati via 10 giorni in totale, ma ci sembra di aver vissuto un mese in un altro mondo. Nelle numerose riunioni che hanno preceduto la partenza, Luca ci aveva messo ripetutamente in guardia riguardo al “fattore Africa“, e dopo questo viaggio ne abbiamo capito davvero il significato. Il fattore Africa è quella dose di imprevedibilità che deve essere messa in conto in un viaggio di questo tipo, è quell’imprevisto non calcolato che là può farti saltare il programma di una spedizione intera, organizzata mesi e mesi prima nei minimi dettagli, è una diversa dimensione del tempo, che in Africa ha ritmi propri e che non devi forzare, quello che puoi fare è invece sederti ed aspettare l’evolversi degli eventi. Di fattori Africa in effetti ne abbiamo incontrati molti durante il nostro viaggio.

Il grosso della spedizione è partita venerdì 13 gennaio nel pomeriggio. Un primo ritrovo con il pulmino che ci avrebbe accompagnti all’aereoporto di Roma Fiumicino, era fissato per le 16,30 di fronte alla stazione ferroviaria di Pontedera. Con un treno da Firenze sono arrivati Valentina Gambicorti con Daniela di Lecce, Marcello Certini e Fiorella Buzzi, arrivata da Milano il giorno prima e ospite da Daniela. Lì aspettavano Jessica Chicco e Daniele Vergani, da Pisa Agnese Fazio, Marta Lazzaroni da Lucca, Gianni Mergoni con la figlia Anna (la nostra mascotte del gruppo) da Massa, Massimo Morachioli dalla Liguria ed infine Claudio Fucini, il medico della spedizione. Il secondo appuntamento era stato fissato per le 17,00 al parcheggio del supermercato Panorama, sempre a Pontedera, dove abbiamo recuperato Giulia Bravi, Alessandro Puccinelli, Silvia Fregoli con lo zio Alessandro Bigarella (Sandro) e Marco Stoppato arrivato da Milano. Abbiato atteso Graziano Paci della Modern Viaggi per la consegna dei biglietti elettronici e poi siamo partiti. Il viaggio ha impiegato circa 3 ore; alle 20,30 circa siamo giunti all’aereoporto dove ci attendevano al check in Michele Squeri e Raffaele De Sarno Prignano. Prime risate quando Massimo scopre che il nickname “pisellino funky” appartiene a Michele Squeri!!!!Terminato l’imbarco dei bagagli in un aereoporto pressochè deserto a quell’ora della notte, il nostro volo era fissato per le 00,05 con la compagnia Ethiopian AirLines. Abbiamo lasciato in Italia una giornata grigia e umida.

Si parte!!!

Sabato 14 Gennaio 2012

Siamo atterrati nella capitale dell’Etiopia, Addis Ababa dopo circa 6 ore di volo. Espletate le formalità per i visti di ingresso in Etiopia (ad accoglierci c’è un impiegato “speciale” che ci convoca alla sua scrivania cantando delle canzoncine ed iniziando una conversazione con Valentina circa l’origine del nome e l’affinità con la festa di San Valentino: il primo fan è stato conquistato!). All’uscita dall’aeroporto ci aspettavano Luca e Gelasio Gaetani. Luca era già da alcuni giorni in Etiopia, poiché aveva preso parte ad un Congresso Internazionale di geologia in Addis Abeba, dove ha presentato la sua carta escursionistica ed il plastico della Dancalia, i primi in assoluto realizzati su queste terre. Dopo i saluti, ci siamo spostati al terminal dei voli nazionale ed abbiamo preso un volo interno che ci ha portati a Macallè (Mek’elè in lingua locale), città dell’altopiano etiopico ad oltre 2000 m di altitudine nella regione del Tigrai. Luca ci ha mostrato come avremmo viaggiato nei giorni seguenti: i fuoristrada erano già stati allestiti con tutto l’occorrente, i gruppi erano già stati formati in modo che su ogni jeep ci fossero almeno 4 di noi, due donne con due uomini. Il nostro gruppo di viaggio era formato da: Giulia, Valentina, Gelasio, Michele, più il nostro autista Takà (credo che si scriva così!). Insieme a noi avrebbero quindi viaggiato la nostra guida locale, Tesema, sette autisti, due cuochi, scorte armate: una vera e propria carovana attraverso il deserto.

  

Ci siamo sistemati in un albergo posto su una collina dalla quale si domina Macallè: da qui il nome Hill Top Hotel. Erano le ore 15,00 circa ed un primo ritrovo era stato fissato da Luca per le 18,00, prima della cena, per discutere alcune questioni organizzative per i prossimi giorni. Avevamo quindi circa 3 ore di tempo, nel quale la curiosità di trovarsi in un posto nuovo, di vedere, di esplorare ha prevalso sulla necessità di riposarsi dopo il lungo viaggio. Così Giulia e Valentina, con Raffaele, Alessandro, Michele e Claudio sono scese a piedi dall’albergo approfittando del tempo rimasto per visitare Macallè. Le ragazze hanno commesso l’errore di non avvertire il capo spedizione Luca della partenza dall’albergo, e questo è costato a Valentina per tutta la spedizione l’appellativo di gallettina”, che tuttora porta con simpatia e affetto, poiché come segno di rimprovero é stata letteralmente presa per la crestina di capelli corti!!!!!!!

La scoperta di Macallè è stato il primo vero contatto con l’Africa: un via vai continuo di persone per le strade che guidano asini carichi di ogni genere di cose, che si incrociano con qualche ape colorato di blu, e con qualche macchina non proprio recentissima; ci sono molti giovani perchè Macallè è una nota città universitaria. La gente ci guarda con curiosità e stupore, quasi fossimo venuti da un altro pianeta; i bambini fanno i loro bisogni accucciati ai lati delle strade noncuranti degli altri, si costruiscono anche nuovi edifici, con impalcature pericolanti di pali di legno che farebbero inorridire i nostri esperti della sicurezza nei cantieri italiani. Siamo entrati in un parco pieno di genitori con  bambini ed abbiamo assaggiato un succo di frutta davvero eccezionale: un bicchierone di colore verde e arancione, con frullato di avocado nella parte inferiore e di mango in quella superiore, che restano separati per la diversa densità dei due liquidi. Scopriamo inoltre, quando andiamo a chiedere informazioni per la visita di un palazzo con un militare armato all’ingresso, che in Etiopia le ore vengono contate a partire dall’alba (es. le 7.00 di mattina è l’ora 1 per loro).

 Filmato Riunione

Alle 18,00 ci raduniamo con Luca, la prima riunione di tutto il gruppo in terra africana … Luca ci ricorda ancora una volta gli eventuali rischi, pericoli e precauzioni da adottare nel viaggio in Dancalia. Siamo tutti molto interessati ed eccitati all’idea di partire per questa avventura, anche se consapevoli delle temperature molto alte che ci attenderanno (il medico della spedizione Claudio ci spiega infatti che il colpo di calore è un rischio molto elevato in cui possiamo incorrere, oltre che la disidratazione: il consiglio è quello di proteggere la testa e di bere molta acqua, da 3 a 5 litri al giorno ciascuno) e della presenza di eventuali animali quali serpenti e scorpioni, che si possono nascondere sotto le rocce. In particolare Giulia viene messa in guardia dal temibile “scorpione volante” che solitamente atterra di notte sulla testa di quelli che hanno più paura.

Luca ci parla delle finalità di questa spedizione che sono in parte scientifiche (in collaborazione con l’Università di Firenze per il campionamento delle acque di Dallol, analizzate solo poche altre volte in assoluto, a cui tutto il gruppo parteciperà) ed in parte storiche (Gelasio è infatti il nipote del Barone Raimondo Franchetti, che esplorò la Dancalia più volte ed a cui si deve il ritrovamento del luogo esatto dell’eccidio della spedizione Giulietti ed alcuni loro resti, trucidata nel 1881 da una tribù Afar presso il Lago Afrera; inoltre il nonno di Gianni è stato uno dei realizzatori della Strada della Dancalia, per il collegamento tra Assab e l’altopiano all’altezza di Dessiè, l’unica strada asfaltata di questa zona. La cena si è svolta nella terrazza al coperto al penultimo piano dell’albergo, mentre le nostre camere erano separate dalla struttura principale dell’albergo in lodge per due persone con la facciata rosa ai quali si accede attraverso dei vialetti. Durante la cena brindiamo con vino rosso del Sudafrica (di nome Two Oceans) e birre locali, mentre ad una estremità della tavola dove siedono Giulia, Gelasio e Luca si intrattiene una conversazione sui vini, approfittando dell’esperto enologo Gelasio: scopriamo quindi che tra i migliori nostri vini delle zone di Lucca e Pisa ce n’è uno in particolare che viene prodotto nella tenuta di Varramista a Montopoli Valdarno, dove Gelasio ha lavorato per molti anni come consulente. Dopo cena il gruppo dei geologi si è riunito con Luca per un breve ripasso delle tecniche di campionamento, da effettuare nei giorni seguenti a Dallol, e poi un po’ stanchi andiamo a dormire.

Domenica 15 Gennaio 2012

In piedi alle 5,30: il compito di passare di camera in camera per accertarsi che tutti si siano svegliati è stato affidato a Gianni, il quale si avvicina alle stanze (la cui entrata principale è una porta a vetro con una tenda chiara) con gli inconfondibili pantaloni a quadri e la luce sulla fronte! Fuori è ancora buio, il vento forte della sera prima pare essere cessato completamente, da lontano si sente la litania del pastore copto che richiama i fedeli alla preghiera. Giulia ricorda divertita lo spavento preso la mattina seguente, andando a ritirare una maglietta appesa a un filo ad asciugare, nel trovarsi alle spalle una guardia notturna dell’albergo che, per ripararsi dal vento e dalle temperature più basse della notte, si era attrezzato con una sorta di grande telo bianco che lo ricopriva dalla testa ai piedi. Colazione alle ore 6,00. Intorno alle 6,45 siamo pronti per la partenza, le jeep equipaggiate con le scorte di acqua per la giornata e tutto l’occorrente per la Dancalia. Attraversiamo dei paesaggi bellissimi dell’altopiano, risalendo inizialmente in direzione Adigrat, e buona parte del mesopiano facendo alcune fermate (stop geologici) , dove Luca ci fornisce nozioni di tipo geologico: osserviamo così la deformazione intensa che le rocce del basamento hanno subito in regime compressivo, con pieghe sia alla grande scala (monoclinali) che alla scala dei singoli affioramenti. Di tanto in tanto incontriamo qualche villaggio, la maggior parte sono capanne a forma di cupola, costruite con tronchi di legno intrecciate e ricoperte di pelli, più raramente sono case in pietre a secco con tetti fatti da pezzi di lamiera e materiali di fortuna. I bambini ci corrono incontro curiosi e speranzosi di racimolare qualcosa, mentre gli adulti sono in genere più distanti o sospettosi, intorno alle capanne ci sono sempre delle capre e asinelli spesso unica loro fonte di sostentamento dalle quali ricavano tutto, dal latte alla carne alle pelli.

Il nostro percorso, seguendo la carta escursionistica di cui ognuno di noi è stato dotato, ci porta ad attraversare i villaggi di Agulà, Ludge e Berahle per un totale di circa 110 km da percorrere. Dopo circa 3 ore di viaggio ci fermiamo a Berahle, un villaggio di semplici capanne, a 900 metri di quota, dove le persone sono abituate al passaggio delle jeep con turisti ed esploratori; qui dobbiamo prendere una sorta di “autorizzazione scritta” che rappresenta il permesso di entrare nelle terre dancale. L’usanza vuole che il nostro capo gruppo venga accolto dal capo villaggio, in un incontro che può durare dieci minuti, come alcune ore, durante il quale vengono presi i giusti accordi, si parla, si tratta, si lasciano dei doni per il villaggio. Nel frattempo noi del gruppo siamo stati accolti in una delle capanne del villaggio adibita a “locanda”, dove abbiamo bevuto un ottimo caffè tostato, preparato sul momento da una donna seduta davanti un tavolino basso, che dopo aver pestato i chicchi di caffè con una specie di matterello e li mette a bollire in una teiera adagiata su braci ardenti; il caffè è veramente ottimo e la procedura non molto rapida ha fatto sì che gustassimo l’aroma penetrante ed intenso del caffè ancor prima di gustarlo davvero, al contrario del nostro espresso al bar, spesso preparato e consumato in tutta fretta. Alcuni di noi hanno poi acquistato delle sciarpe colorate e giocato con i bambini che ci hanno letteralmente assaliti, attirati dalla curiosità nei nostri confronti, chiedendoci insistentemente penne, caramelle e cioccolata, in un inglese un po’ stentato; per attirare la nostra attenzione le loro richieste iniziavano sempre con “You, you…” o “ferengi” (che per loro significa straniero). Un particolare che rimarrà nelle menti e nei ricordi di tutti noi è senza dubbio la bellezza dei volti dei bambini, gli occhi grandi e profondi, la loro curiosità e spontaneità nei nostri confronti. Abbiamo fatto loro molte fotografie, poiché qui eravamo visti come gli stranieri, ospiti, che portano i soldi, quindi ci era permesso. In particolare all’interno della locanda una scena ci ha colpiti in maniera singolare: una bambina, di non più di 6 anni, teneva un bambino di pochi mesi sulle sue spalle, probabilmente il fratellino più piccolo, con fasce fatte da stoffe e legate intorno ai suoi fianchi, mentre all’interno della capanna c’era una televisione in cui si vedevano scene di un cartone animato: stavano proiettando Bambi di Walt Disney. La bambina ha fatto amicizia con noi in modo particolare, si è tolta il fratellino dalle spalle e ce lo ha fatto prendere in braccio. La sosta a Berahle è stato forse il primo e vero impatto con questa realtà primordiale.

Per giungere in Dancalia bisogna “scendere” nel vero senso della parola, come un viaggio iniziatico nei gironi infernali di Dante: si passa dagli oltre 2000 metri dell’altopiano ai -120 s.l.m. nel punto più depresso; la Dancalia infatti geologicamente è costituita da una depressione tettonica di forma triangolare che si allunga parallelamente al mar Rosso, punto caldo in cui le fratture della crosta terrestre stanno piano piano allontanando la zolla africana da quella arabica da quella contenente il corno d’africa (Great Rift Valley africana).

Arriviamo per le 14,00 circa ad Ahmed Ela (lett. Pozzo di Ahmed), dove i nostri cuochi ci hanno già preparato un ottimo pranzo di benvenuto! La prima visita del viaggio di oggi prevede la discesa alla Piana del Sale, una distesa sconfinata di bianco abbagliante, di un fascino ed una bellezza unici, creata nel corso delle ere geologiche, quando la regione Afar è stata ripetutamente invasa dalle acque del Mar Rosso, che ritirandosi definitivamente hanno lasciato uno spesso deposito di evaporiti al centro (si stima che nella sua parte centrale si possano sfiorare i 3 Km di spessore). In alcune aree il sale ha un colore bianco candido, in altre zone invece ha un aspetto più sporco perchè contaminato da lievi quantità di argilla: la superficie si presenta come formata da tante zolle attaccate l’un l’altra, di forma romboidale per la disposizione cristallina che assumono i minerali di sale quando si formano. Per l’eccessivo caldo, tutto quello che si vede intorno sembra un’isola, circondata da uno specchio d’acqua.

Al centro della piana, a circa 8 km dal villaggio di Ahmed Ela, emerge da questo piatto mare di sale una struttura molto particolare: viene chiamato “Skating ring” ed è quello che rimane di un antico cratere di esplosione freatomagmatica di forma circolare, di circa 100 m di diametro. Dalla forza dell’esplosione i depositi di sale insieme con materiali sedimentari (la struttura infatti ha una colorazione rossastra) sono stati accumulati ed ammassati ai lati del cratere centrale. Apprendiamo da Luca che tali depositi sono molto ricchi in Bromo, dalle note proprietà lassative, che le popolazioni locali infatti utilzzano.

Facciamo ritorno al villaggio poco dopo il tramonto e prepariamo i giacigli per la notte, rappresentati da lettini di legno e corde intrecciate sul quale vengono adagiati dei materassini ed i nostri sacchi a pelo, un vero lusso per gli standard dei pernottamenti in questi luoghi! È arrivato il momento giusto per testare il nostro tendalino, il bagno portatile che ci accompagnerà per tutto il nostro viaggio (e che in seguito si rivelerà davvero una scelta molto azzeccata!!!).

 

La cena si è svolta nella capanna vicina al nostro accampamento, dove i nostri due cuochi ci hanno preparato un ottimo buffet con minestra di verdure calda e spiedini di carne e verdure. Il dopo cena è dedicato al riposo ed allo svago, alcuni di noi si sono sdraiati a riposare o a leggere un libro prima di dormire, altri invece hanno iniziato dei giochi con le carte (Giulia, Agnese, Anna e lo “Zio Gel”, così ribattezzato da Anna, si sono cimentati in una partita a scopone scientifico, mentre Marco e Raffaele si sono sfidati a backgammon), altri ancora si sono messi ad ammirare il meraviglioso cielo stellato africano, cercando di individuare le costellazioni note o quelle che nei nostri cieli non possiamo vedere. Quando l’ora ha iniziato a farsi tarda, e quando anche i rumori del villaggio piano piano si sono spenti, ci siamo infilati nei sacchi a pelo per dormire, apprezzando l’oscurità assoluta, a cui non siamo più abituati.

 

Lunedì 16 Gennaio 2012

Sveglia alle 5,30 ed abbondante colazione: oggi sarà una giornata molto intensa e faticosa, dedicata a Dallol!!! Ma prima di partire andiamo tuti quanti a vedere la preparazione e la partenza della carovana del sale: da questo villaggio infatti ogni mattina all’alba parte una carovana formata da decine di centinaia di dromedari, asini e uomini a piedi (tra cui molti ragazzi giovani e giovanissimi), diretti alla Piana del Sale, dove lavorano tutto il giorno sotto un sole cocente per estrarre manualmente dei blocchetti di sale, che poi rivendono nei mercati di tutta l’Africa. Dedichiamo circa 1 ora ad osservare queso spettacolo e a fare fotografie. Nel frattempo arrivano i primi inconvenienti del viaggio, ed il programma di trovarci a Dallol molto presto per completare le opere di campionamento prima che faccia troppo caldo salta miseramente: al momento della partenza ci accorgiamo che manca all’appello il nostro medico Claudio, che si era allontanato dicendo di precederci insieme a Marco, andato avanti a piedi per un servizio fotografico alla carovana. Questo ci ha costretti a fermarci sulla pista, per attendere la jeep di Luca tornata indietro ad Ahmed Ela a cercare Claudio, ma allo stesso tempo ci ha permesso di ammirare ancora il passaggio della carovana.

Alla fine riusciamo ad arrivare ai piedi della collina di Dallol per le 10,00 circa, attraversando nuovamente l’area di Assale vista il pomeriggio precedente; il tempo ci è stato clemente, infatti il cielo nuvoloso, ci impedisce di sentire eccessivamente caldo (non per questo non abbiamo seguito i consigli e le raccomandazioni di Claudio: molti di noi prima di partire si sono attrezzati con “camel bag”, altri con borracce, riempite con acqua fresca trasportata a bordo delle jeep, in cui molti di noi hanno fatto disciogliere gli integratori salini). Durante la salita ci fermiamo ad osservare delle strutture particolari, formate dall’interazione di acque geotermiche e depositi salini, molto simili alle strutture che vediamo anche nelle nostre grotte carsiche. Jessica inoltre riconosce prontamente un’altra struttura tipica degli ambienti vulcanici: è un hornito, (dallo spagnolo horno, forno), una “cupola” composta di sale, formatasi, come ci spiega Luca, probabilmente dalla risalita di magma dal basso.

Filmato strutture geologiche Dallol

Raggiunta la sommità di Dallol ammiriamo tutti quanti estasiati lo spettacolo che ci si presenta davanti: concrezioni di sale, laghetti ribollenti di acqua calda sulfurea dei colori dal giallo al verde al rosso ruggine che rende reale la frase che pronunciò il barone Raimondo Franchetti nei primi del 1900 “la Dancalia è l’inferno sulla terra“. Ci sono anche altri gruppi di turisti ma noi attiriamo l’attenzione di tutti per l’attrezzatura di cui siamo equipaggiati per effettuare i campionamenti, seguendo le procedure indicateci dal prof. Vaselli dell’Università di Firenze e dalla sua collaboratrice Barbara durante alcune lezioni private presso la facoltà di Scienze della Terra dell’Università di Firenze.

Filmato pozze Dallol

Subito ci dividiamo in due gruppi (il gruppo A ed il gruppo B) ognuno con il proprio compito da svolgere: lo scopo è quello di prelevare per ogni punto di campionamento prescelto quattro aliquote (tal quale, isotopi, ed i due campioni acidificati per HCl ed HNO3), da sottoporre in seguito ad analisi di laboratorio; il campionamento prevede anche l’analisi in sito dei carbonati, da eseguirsi solo nei casi in cui il pH risulti superiore a 4,3; putroppo il pH molto basso (addirittura spesso pari a circa 1) ha impedito a Valentina e ad Agnese di procedere con le misurazioni, fatto che è costato loro l’appellativo di “gruppo degli inutili” coniato da Massimo. Gli altri campionamenti procedono senza troppi intoppi (anche se vengono campionate solamente 2 pozze invece di 3, come era stato programmato inizialmente), ma fanno la loro comparsa le prime defezioni all’interno del gruppo: Valentina inizia ad accusare dei forti mal di pancia, giramento di testa e conati di vomito, sintomi che fanno pensare ad un colpo di calore. Viene subito soccorsa da Luca e Marcello, e Claudio consiglia che venga accompagnata alle jeep per riposare e stare all’ombra. Ad accompagnarla ci pensano Raffaele e Marco, mentre il resto del gruppo prosegue la sosta sulla collina, andando a visitare un vecchio villaggio di sale abbandonato e raggiungibile a piedi da Dallol attraverso un breve percorso di trekking, ma che il sole uscito allo scoperto ed il caldo rendono molto difficoltoso.

Il villaggio venne costruito da italiani agli inizi del secolo, per permettere agli uomini di lavorare nella miniera di potassio, che qui veniva estratto e poi trasportato nella vicina Eritrea. La miniera è rimasta attiva per moltissimi anni: dopo la scoperta da parte dell’Ingegnere minerario Tullio Pastori nel 1906, venne venduta alla Fiat nel 1915; dopo la sconfitta degli italiani il giacimento passò in mano ad alcune compagnie inglesi. Sospesa per vari problemi fino al 1970, venne ripresa dagli americani che vi costruirono anche un piccolo aereoporto. Negli anni ’90 l’estrazione del minerale venne bloccata nuovamente a causa della guerra civile tra Etiopia ed Eritrea e per la presenza di ribelli sul territorio; negli ultimi anni è stata riattivata da una multinazionale etiopica per poi passare in mano ad un’industria canadese, la Allana Potash, tuttora presente, con base operativa proprio vicino ad Ahmed Ela. Il villaggio ha un aspetto davvero inquietante, come un vero e proprio villaggio fantasma: ci sono case in mattoni di sale semidistrutte e pezzi di lamiera abbandonati e corrosi dal sale stesso; emblematica l’immagine di uno scheletro di un camion FIAT, diventato parte integrante del paesggio spettrale. Verso le 12,30 tutto il gruppo fa ritorno alle jeep velocemente per il troppo caldo, discendendo la collina di Dallol. Ad attenderli, Valentina che, a parte una forte spossatezza e qualche crampo alla pancia, tutto sommato sembra stabile. Proseguiamo per andare a vedere l’estrazione e la lavorazione del sale.

Luca si raccomanda di essere cauti e di aspettare il suo “ok” per fare delle fotografie, perchè la situazione sociale è tutt’altro che semplice; due diverse etnie infatti si dividono il lavoro dell’estrazione del sale: gli uomini del Tigrai, che hanno generalmente il compito dell’estrazione e del taglio in blochetti dal peso variabile da 2 a 5 kg, e gli Afar che si occupano del carico sui cammelli e del trasporto. I rapporti tra di loro non sono sempre così cordiali. Ci avviciniamo lentamente e con discrezione agli uomini che lavorano, talmente magri che non sembrano sentire il caldo, e che faticano tutto il giorno per pochi Birr. Dopo aver parlato con uno dei loro capi Afar, un uomo molto alto con un turbante rosso, che parla con Luca in italiano, possiamo chiedere anche di scattare qualche fotografia.

Era l’ora del pranzo, e ci offrono con molta gentilezza un pane chiamato “gogoità” fatto con acqua e farina, che cuociono su pietre arroventate direttamente sul posto. Ogni tanto qualche operaio per difendersi dal caldo si versa sul corpo l’acqua contenuta all’interno di sacche fatte di pelli di capra; è incredibile come gli addetti al taglio del sale, maneggiando una specie di scalpello in maniera estremamente abile, taglino ogni blocco in maniera precisa ed uno identico all’altro in peso e dimensioni! Ci fermiamo per il pranzo all’ombra dello skating ring, dove i nostri cuochi avevano già allestito con tanto di tavola apparecchiata un buffet a base di ottime lasagne al forno, verdure ed orzo tostato.

Dopo un breve riposo ci spostiamo a sud della Collina di Dallol per continuare i nostri campionamenti al Lago Giallo (dove Massimo, su indicazione di Alessandro, ha scoperto il cosiddetto “Lago dei capezzoli” da lui così rinominato) ed al Lago Nero, laghi ribollenti, talmente acidi da corrodere la suola delle scarpe di Luca, che si era spinto un po’ troppo oltre per campionare. Molto affascinante il Lago Nero che sembra avere la superficie ghiacciata, nonostante i suoi 40° di temperatura esterna e 75° quella interna! Per raggiungerlo abbiamo attraversato una distesa di sale dal colore rosso, che da lontano ricorda un deserto di sabbia, con sullo sfondo in lontananza le Colonne di Dallol, un’isola in mezzo al caldo abbagliante.

L’ultimo stop intorno alle 18,00, abusando perfino troppo della pazienza degli autisti e della nostra scorta, è appunto alle colonne di sale: queste sono bastioni che si innalzano per una notevole altezza al margine di Dallol, formati da bande alternate di sale più chiaro e più scuro per variazioni ambientali che si sono succedute nel tempo; alla loro sommità in continuità stratigrafica c’è un deposito alluvionale piuttosto consistente. Un luogo molto suggestivo ed affascinante, soprattutto all’ora del tramonto, per la maestosità e l’imponenza e per le forme che ricordano molto il Grand Canyon americano.

Facciamo ritorno al villaggio che sono già le 19,00 di sera, e ci gustiamo una cena a base di berberè: la salsa piccante formata da un misto di spezie tra le quali peperoncino, zenzero, coriandolo, chiodi di garofano. Nel frattempo si era sentita male anche Silvia, la seconda vittima della Dancalia, con vomito e mal di stomaco; anche Valentina non sembrava riprendersi, scoprendo una febbre di oltre 38°, in seguito alla quale Claudio decide di somministrarle un antipiretico ed un antibiotico; tutto il gruppo si è mostrato da subito molto solidale ed ha prestato compagnia ed assistenza alle due ammalate. Volevamo farci forza, il giorno seguente sarebbe stato il fatidico giorno dell’Erta Ale…

Filmato colonne Dallol

Martedì 17 Gennaio 2012

Il “fattore Africa” nella giornata di oggi si è manifestato in tutta la sua forza dirompente.

Dopo due notti ad Ahmed Ela, il programma di viaggio prevedeva lo spostamento e la salita verso il vulcano Erta Ale; la partenza è stata leggermente ritardata per accertarsi delle condizioni di salute di Valentina, di Silvia e di Daniela, che nella notte aveva accusato gli stessi sintomi, facendoci prendere un bello spavento piombando improvvisamente svenuta ai piedi del lettino di Jessica. Le ragazze, ancora un po’ deboli, sono comunque in grado di affrontare il viaggio; quindi verso le 9,30 dopo una buona colazione, siamo stati pronti per partire.

I viaggi in jeep sono sempre molto massacranti, devono essere percorsi molti chilometri su piste spesso non tracciate, si sobbalza per i massi e ciottoli oppure si slitta da una parte all’altra per la troppa sabbia. I paesaggi attraversati sono però bellissimi: nella distesa infinita di nulla, ogni tanto incontriamo qualche villaggio formato da poche capanne, con bambini che ci vengono incontro alla ricerca di bottiglie di plastica vuote, e adulti che si spostano come ombre scure nel deserto chiaro, pascolando gli animali o andando in cerca di qualche litro di acqua con taniche sporche e gialle; la vegetazione varia in pochi metri, a volte si incontrano aree dotate di folta vegetazione di carattere arbustivo o con alberi a basso fusto, altre volte aridi alvei fluviali, detti wadi circondati da dune, la cui morfologia cambia velocemente in base al vento. Durante il viaggio abbiamo avvistato alcune gazzelle (che sono rapidamente fuggite davanti alle nostre jeep) ed alcuni struzzi.

Dopo qualche ora abbiamo fatto una sosta nell’oasi di Waideddo, nel punto in cui negli anni ‘90 erano stati rapiti (e poi liberati) il gruppo di studiosi noti come Argonauti Explorer: qui ci rifocilliamo sotto l’ombra delle palme, i cui frutti (delle piccole noci) vengono utilizzati per l’estrazione dell’olio.

Poco dopo aver ripreso il viaggio, prima di arrivare a Kosrawad, siamo stati fermati da una pattuglia militare: uno di loro ci è corso incontro, insieme ad altri uomini afar che abitavano nelle vicinanze (Agnese, Marta e Massimo ricorderanno per sempre le parole del loro autista, che di fronte a questa scena, con un sorriso smagliante, dice loro “Don’t worry, be happy!”).

Breve filmato effettuato durante il fermo

La pattuglia ci ha scortato all’interno di una struttura in muratura a pochi chilometri da lì, adibita a comando delle forze inviate sul posto: dopo qualche minuto in cui continuavamo a non capire il perchè di questa deviazione improvvisa, apprendiamo la notizia che, qualche ora prima dell’alba, sulla vetta del vulcano alcuni ribelli hanno aggredito dei turisti. La situazione si fa più drammatica quando veniamo messi al corrente che a seguito dell’aggressione ci sono stati dei morti e dei feriti, la cui nazionalità non viene ancora rivelata. Luca ci dice comunque di stare tranquilli e che probabilmente avremmo passato qui alcune ore; nel frattempo lui cerca di raccogliere maggiori informazioni conversando con i capi militari.

 

Un’ombreggiata terrazza dell’area militare (probabilmente una vecchia scuola) viene per noi attrezzata a sala pranzo: i nostri cuochi in poco tempo preparano delle pietanze veramente ottime, come sempre del resto, e ci allestiscono il tavolo per servirci a buffet. Noi ragazze, dopo due giorni di tendalino, possiamo finalmente usufruire di una specie di vero bagno che si trovava all’interno della strutura.

Seguono circa due ore di attesa, in cui Luca, aiutato nelle traduzioni da Raffaele e Tesema, riceve informazioni dai militari; al termine ci comunica che ci si propongono due diverse possibilità: ritornare indietro verso Dallol o proseguire a sud verso il lago Afrera; quest’ultima ipotesi viene considerata da Luca come la più sicura, dal momento che il lago Afrera si trova in una zona ben controllata. Solo a sera Luca ci confida, con tranquillità, le volontà del “capitano” dell’esercito di requisire le nostre jeep per inviare altri soldati sul vulcano, dove stanno ancora combattendo per cercare di catturare gli aggressori. Fortunatamente lui è riuscito a convincerli a farci andare via, regalando loro una copia della carta escursionistica della Dancalia.

Prima di allontanarci definitivamente ci siamo fermati al villaggio di Kosrawad, dove avremmo dovuto equipaggiarci per l’ascesa al vulcano, per raccogliere altre informazioni: lì abbiamo saputo un altro gruppo era stato bloccato nelle vicinanze. Quindi con le jeep ci siamo subito recati presso quest’altra area adibita a zona militare, dove alcuni di noi si sono messi a parlare con gli altri “avventurieri”, costretti ad attendere il ritorno delle loro jeep, concesse in prestito all’esercito etiopico. Scopriamo si tratta di un gruppo di geologi, per lo più americani, che nei giorni precedenti avevano preso parte alla conferenza internazionale di vulcanologia ad Addis Abeba; tra di loro anche due geologhe italiane, una delle quali con grande stupore di tutti, conterranea di Jessica! Prima di proseguire il nostro viaggio, Luca ha preso i loro nominativi, per poterli comunicare via telefono all’Ambasciata italiana.

Alla luce dei fatti accaduti ci sentiamo proprio dei miracolati: il nostro programma prevedeva infatti di partire proprio dall’Erta Ale, sul quale avremmo dovuto pernottare le notti di Lunedì 16 e martedì 17 per poi, da lì, fare marcia indietro e ritornare verso Dallol e la Piana del sale. Un’inversione di programma dell’ultimo minuto decisa da Luca e dal nostro tour operator di riferimento in Addis Abeba, per non trovarci sovrapposti sul cratere del vulcano insieme con molti altri gruppi di visitatori, probabilmente ci ha salvato la vita. Il destino, o se vogliamo il caso, opera in modo sconosciuto a volte, per prendersi delle vite risparmiandone invece altre. Durante tragitto per raggiungere lago Afrera veloce Luca ha chiamato col telefono satellitare le agenzie (Modern Viaggi tour operator in Italia e Medir Tour ad Addis Abeba) perchè fossero informate dell’accaduto, delle nostre condizioni di totale  incolumità, in modo che, se le notizie allarmanti fossero velocemente arrivate in Italia, avrebbero potuto rispondere ad eventuali richieste e domande.

In tarda serata, con il sole ormai basso oltre l’orizzonte, abbiamo finalmente raggiunto il lago Afrera dopo aver attraversato distese di colate laviche nere, un paesaggio affascinante e quasi lunare; ma un po’ per la fretta di arrivare in un posto tranquillo e un po’ per la pressione psicologica della giornata, non abbiamo potuto dedicargli l’attenzione che meritava. Ci siamo accampati in un’area tranquilla, distante dal villaggio omonimo, sulle sponde del lago, tra due sorgenti di acqua calda e dolce che già era stato un luogo di sosta nel durante la spedizione di Luca con il Prof. Mauro Rosi e Giudo Bertolaso. Nel frattempo, durante il tumultuoso viaggio per raggiungere il Lago Afrera ha cominciato a sentirsi male anche Anna, la quarta vittima africana.

Dopo aver preparato l’accampamento della notte, abbiamo fatto tutti insieme un bel bagno rilassante nella pozza di acqua calda (con temperatura di circa 40°) che ci ha immediatamente tolto la stanchezza e la polvere del viaggio e ci ha decisamente rigenerato anche nello spirito. Abbiamo cenato, poi ognuno di noi ha fatto una breve telefonata alla famiglia con il telefono satellitare che avevamo in dotazione: pochi minuti per dire che stavamo bene e che tutto procedeva per il meglio. Non sapendo infatti quali notizie fossero giunte in Italia, abbiamo preferito evitare di entrare troppo nei dettagli della vicenda, per evitare di creare allarmismi inutili!

A questo è seguita una serata in cui l’argomento principale è stato analizzare l’accaduto: sono infatti molto confuse le notizie che riguardo gli esecutori di questo agguato, ed è quasi certo che il governo etiopico accuserà gli eritrei, anche se si potrebbe trattare di un gruppo di ribelli dancali. Ci addormentiamo tutti abbastanza in fretta, forse non completamente coscienti davvero del pericolo scampato.

Mercoledì 18 Gennaio 2012

Nonostante non ci siano orari da rispettare per la sveglia mattutina, l’alba, con lo spettacolo del sole che sorge sul lago, ci ha fatto svegliare tutti abbastanza presto. La mattina presto Luca telefona direttamente all’ambasciatore italiano ad Addis Abeba per informarlo sull’incolumità del nostro gruppo e sulla presenza di altri due italiani nell’area, oltre a fornire notizie prese sul posto sui morti feriti e rapiti.

 

Il fattore Africa però colpisce ancora inesorabile: nella notte la quinta vittima, Marta, che già nelle prime ore della mattina manifesta una febbre molto alta (sino ad arrivare a 40° nell’arco della giornata). Considerate le temperature molto elevate, si rende necessario preparare un’area ombreggiata, un vero e proprio accampamento per i malati, realizzato con un telo che faccia ombra, ancorato con funi a blocchetti di cemento presenti nell’area, sotto al quale vengono adagiate Marta ed Anna, vegliata sempre dal padre Gianni, sotto lo sgurado vigile del medico Claudio. In particolare per Marta si rende necessario anche fare una flebo, poichè la febbre alta e l’eccessiva debolezza rischiavano di provocarle una disidratazione.

 

Per ammazzare il tempo una parte del gruppo decide di fare una visita alla salina lì vicino, dove l’acqua del lago Afrera ad alto contenuto di sale viene dragata con sistemi un po’ artigianali ma tutto sommato funzionanti in vasche ricoperte da un telo impermeabile, dove, con l’evaporazione accelerata, si deposita il sale sul fondo, che poi viene estratto, lavorato e confezionato in sacchi. Il giro ci porta via 1 ora e mezzo circa, ed il caldo inizia a farsi sentire aumentato dal bianco intenso delle saline e dal rifleso sullo specchio d’acqua del lago, così decidiamo di fermarci al villaggio in un locale rapresentato da una struttura con i tavoli in legno, dotata però di corrente elettrica, di ventilatori e di frigorifri, dove ci siamo rinfrescati con bibite fresche ad abbiamo fatto un brindisi tutti insieme, mentre Alessandro si è unito a due locali per assaggiare un piatto di spaghetti da raccogliere con le mani, aiutato dalla injera. Nel frattempo anche Michele e Marco giunti al villaggio, sono stati sfidati dagli abitanti locali ad una partita a biliardo, grande passione di Michele. Siamo ritornati al nostro accampamento per l’ora di pranzo, venendo a conoscenza che nel frattempo anche Gianni (che alla domanda: “Gianni come stai?” Aveva prontamente risposto “Sto benissimo!!!”) era stato colpito dalla dissenteria africana e riposava nel “lato ospedale”. Ma dopo pranzo anche Giulia, che nella visita alle saline aveva avvertito i primi sintomi (mal di pancia e brividi di freddo), raggiunge gli altri compagni sotto la tenda, accompagnata da una febbre a 39°. A questo punto un dubbio inizia ad assalirci: ma non è che Luca, tra tui gli avvertimenti per affrontare questo viaggio, si era dimenticato di dirci proprio che sarebbe stato un percorso ad eliminazione diretta!?!?!?!

L’uscita geologica prevista per il pomeriggio con i pochi sopravvissuti e con quelli che si erano perfettamente ripresi come Daniela, Valentina e Silvia, con tanto di scalata di un anello di tufo nelle vicinanze del lago Afrera, viene rimandata al tardo pomeriggio date le forti preoccupazioni di Luca per gli ammalati che sembravano peggiorare di momento in momento. Nel frattempo il resto del gruppo intanto si dedica a varie attività: c’è chi presta assistenza a Claudio per curare i malati, c’è chi chiacchera in compagnia, chi fa fotogtafie ed esplora in giro, chi si da al gioco delle carte, come Agnese, Daniela e Daniele (è rimasta celebre la domanda di Agnese a Tesema per coinvolgerlo nel gioco “Do you know briscola?”), e chi cercando di sfidare la malattia si fa forza con attività di svago, come Anna che legge dei libri prestatele da Michele, o Giulia che sfida Marco a una partita a backgammon.

Verso le 17,30 Luca conduce il gruppo ad una visita al cimitero afar (vista l’ora tarda è saltata la scalata dell’anello di tufo), molto suggestivo soprattutto all’ora del tramonto; veniamo a conoscenza così come non esista un unico grande cimitero, ma più gruppi di tombe dei vari clan afar: le tombe sono rappresentate da tumuli di diversa forma, altezza e grandezza a seconda del ruolo che il defunto ricopriva all’interno della società. Sulla parte sommitale dei tumuli ci sono delle pietre che, a seconda del loro esatto posizionamento o del numero, stanno ad indicare se quel guerriero si sia reso valoroso in vita uccidendo molti nemici, se sia morto di una morte violenta per mano di altri o se la sua morte sia stata vendicata dalla famiglia.

Rientriando all’accampamento, apprendiamo che ci sononuove vittime: Sandro, Jessica, Michele e lo stesso Luca, che ci ha confidato che già durante la visita al cimitero degli afar non si sentiva molto bene. Il gruppo pare davvero decimato, e iniziano a comparire anche alcuni segnali di sconforto; ma fortunatamente la serata viene rallegrata da marco che porta dal villaggio una cassa di birre fresche ed allieta l’ora precedente la buonanotte con un singolare spettacolo di cabaret.

Giovedì 19 Gennaio 2012

Dopo la sveglia e la colazione, Luca decide, dopo essersi consultato anche con Claudio, e visto soprattutto il persistere delle pessime condizioni di salute di molti di noi, che la migliore cosa da fare è di risalire verso l’altopiano e quindi verso temperature più basse e condizioni climatiche più ottimali. Dopo un po’ di incomprensioni e ritardi in merito alla distribuzione nelle macchine (i pochi ancora rimasti “sani” volevano cercare di mantenersi tali) è stato deciso di riprendere ognuno il proprio posto sul proprio fuoristrada. Il tragitto di ritorno verso Macallè è stato lungo ed estenuante, nonostante sia stato scelto di percorrere la nuova strada che i cinesi stanno costruendo per collegare la zona dell’Afrera con Makallè; la scelta è risultata sicuramente ottima, anzichè ripercorrere la strada già percorsa due giorni prima, in senso inverso e che costeggia i grandi massicci vulcanici, ma si è rivelata un vero cantiere ed una pista appena abbozzata, con deviazioni spesso fuorvianti che ci hanno costretto più volte a tornare indietro e cambiare strada. Ci siamo fermati più volte, soprattutto per far riposare e dare un po’ di tregua a coloro che stavano peggio, come Giulia, Jessica, Agnese.

Breve filmato effettuato duranti il tragitto da Afrera a Macallè


Per pranzo ci siamo fermati in un piccolo villaggio Abu Ala dove siamo stati ospitati all’ombra di strutture in muratura, probabilmente sempre con la funzione di controllo per le forze militari. Purtroppo le cattive condizioni di salute del gruppo hanno fatto poco apprezzare questa volta l’esuberanza, l’allegria le scorribande e le grida di festa dei numerosi bambini del villaggio, che erano accorsi curiosi per osservarci. I bambini sono sempre bambini, in qualsiasi parte del pianeta, di qualsiasi popolo, etnia, religione. Infine siamo riusciti ad arrivare a Macallè, oramai con il buio, e siamo stati ospitati nello stesso albergo della prima notte: una sistemazione più comoda, un bagno e la possibilità di avere una notte al caldo in un letto è sicuramente servita a molti di noi per riprendere un po’ di forze. Nel frattempo il “fattore Africa” aveva colpito anche Massimo e Marco… … Alla cena hanno partecipato solo in pochi: il gruppo era infatti stato letteralmente decimato, molti infatti non avevano nemmeno le forze per mangiare ed è stato portato loro tè e biscotti nelle camere.

Venerdì 20 Gennaio 2012

In questo penultimo giorno, abbiamo una mezza giornata di tempo prima di riprendere il volo per Addis Abeba, previsto per il pomeriggio alle 16,00. Scopriamo che oggi è una giornata di festa a Macallè ed in tutta l’Etiopia poiché ieri 19 gennaio si è festeggiato il Timkat ovvero l’Epifania ed il battesimo di Cristo, posticipato di 13 giorni rispetto al nostro calendario. E’ una ricorrenza molto suggestiva e dura tre giorni, durante i quali le copie dell’Arca dell’Alleanza conservate nelle varie chiese vengono portate in processione. Abbiamo assistito ad una vera e propria invasione delle strade della città di fedeli, vestiti principalmente con abiti bianchi, soprattutto donne e bambini. Le ragazze e le donne indossano bellissimi gioielli e portano delle acconciature molto particolari. Fortunatamente è stato possibile fotografarle: rispetto agli altri giorni infatti per queste donne, oggi, è un motivo di vanto essere ammirate. C’è anche chi riprende il nostro gruppo con i telefonini, come se nella giornata di oggi in mezzo a loro fossimo noi la vera attrazione!

Poco prima di fare ritorno in albergo abbiamo fatto un incontro davvero eccezionale: un signore anziano vestito molto elegantemente, con cravatta, bastone e cappello, ci ha riconosciuto come italiani, si è fermato con noi e ci ha raccontato di avere lavorato per moltissimi anni come impiegato delle poste italiane. Ci ha raccontato di avere 98 anni e che adesso con la pensione vive dignitosamente. Luca si è fatto lasciare il suo nome. É stata una vera emozione!! Conserviamo questo incontro immortalato in diverse nostre fotografie!

Abbiamo pranzato all’albergo e dopo aver raccolto i bagagli ci siamo recati all’aereoporto. All’arrivo ad Addis Abeba siamo stati accompagnati nel nostro hotel, il Jupiter International Hotel, con una hall dai soffitti altissimi con colonne e lampadari con i pendenti, camere spaziosissime con un lato interamente a vetrata con vista sulla principale via sottostante. Abbiamo passato la serata con una tranquilla cena nel ristorante dell’albergo, con la compagnia di Anna, la titolare del Medir Tour Operator, la nostra agenzia di Addis Abeba e di Chiara, l’amica di Daniela e Fiorella, insegnante del Ministero dell’Istruzione italiano che ha ottenuto di insegnare all’estero e vive e lavora alla scuola per italiani ad Addis Abeba già da alcuni anni.

Sabato 21 Gennaio 2012

Oggi giornata intera dedicata alla visita della capitale! Gelasio, con la Lonely Planet sempre alla mano per tutto il viaggio, si è offerto di organizzarci un percorso ed il nostro tour operator di Addis Abeba ci ha messo a disposizione pulmino ed autista per tutta la giornata. Abbiamo iniziato dal Museo Etnografico, ritenuto uno dei più belli di tutto il continente africano, che ha sede nella vecchia residenza dell’imperatore Hailè Selassiè. Il museo è circondato da splendidi giardini e fontane, che fanno parte anche del vicino campus universitario; di fronte all’ingresso si nota subito una particolare scala a chiocciola costruita dagli italiani nel periodo fascista, in cui ogni gradino simboleggia ogni anno della dominazione di Mussolini a partire dalla sua ascesa al potere nel 1922.

Nell’atrio ci sono alcuni pannelli dove vediamo riassunta la storia e dove si trova l’ingresso alla biblioteca di studi linguistici. L’ingresso vero e proprio al museo si trova al primo piano: ai piedi della scala di accesso si trova una stele che a Giulia e a Massimo ha subito ricordato le statue stele della Lunigiana, mentre le pareti sono “addobbate” con una grande varietà di scudi afar.

La particolarità di questo museo è che la visita è organizzata secondo il ciclo della vita: si passa infatti dalla nascita, l’infanzia alla vita adulta, con i temi del nomadismo, della guerra, delle tradizioni, dell’artigianato e delle usanze, fino ad arrivare alla morte. Allo stesso piano si trovano anche la camera da letto, il bagno e lo spogliatoio dell’imperatore, con un foro nello specchio causato probabilmente da un proiettile sparato durante il colpo di stato del 1960.

Abbiamo proseguito poi con la visita alla Cattedrale della Santissima Trinità, ritenuta il luogo di culto più importante (la religione principale dell’Etiopia è la ortodossa copta), anche perchè al suo interno ospita le imponenti tombe di Selassiè e della moglie. L’esterno ha una gigantesca cupola in rame, numerose statue ed è un mix di stili architettonici diversi, mentre all’interno si trovano dei dipinti murali, vetrate magnifiche, tappeti in stile francese e due troni imperiali.

Per il pranzo ci dirigiamo in un luogo storico, il Taitu Hotel, che l’imperatrice, moglie di Menelik, volle far costruire per recarsi dalla loro abitazione sulla collina alle terme, che tuttora portano il suo stesso nome e che si trovano vicine al Taitu Hotel. Il ristorante dell’albergo ha stanze in legno con mobili di antiquariato e bellissimi oggetti, mentre al piano di sopra, dove si accede alle stanze dell’hotel, ospita una mostra di pittori locali. All’esterno ha un bel giardino dove viene servita la colazione. Noi mangiamo da una tavola imbandita a buffet un menù tutto vegetariano, gustando ancora una volta la tipica injera.

Nel pomeriggio, attraverso una strada in salita, molto trafficata da persone a piedi che portano ogni tipo di oggetti, tra cui alcune donne che portano sulle spalle delle fasce di legna lunghe alcuni metri, visitiamo la collina di Entoto, dalla quale si ha una vista panoramica dell’intera città. Qui un tempo sorgeva la capitale di Menelik. Passeggiamo tra una foresta di eucalipti, e numerosi bambini ci vengono incontro incuriositi e prendendoci per mano per accompagnarci. Lì vicino si trova inoltre la Chiesa di Entoto Maryam, dalla quale attraverso una scalinata, si scende un po’ in basso per visitare il palazzo reale degli imperatori, prima della nascita della città di Addis Abeba, chiamata così dall’imperatrice Taitu in persona (Addis Ababa significa “nuovo fiore”).

L’ultima parte della giornata è dedicata allo shopping, ci fermiamo infatti nelle vie principali della città e veniamo subito assaliti da molti mendicanti. Ognuno di noi acquista qualche souvenir, tra cui due bellissime riproduzioni del tipico pugnale afar, acquistati da Valentina e Daniele al negozio della sorella di Tesema, croci copte ed alcune magliette.

Il viaggio aimè sta per concludersi, rientriamo all’albergo, dove ci aspettavano Michele, Marco e Jessica, che non si erano uniti a noi nella giornata per le condizioni di salute di Jessica ancora un po’ critiche.

Prima di cena, su indicazione di Tesema, Daniele e Giulia conoscono un noto cantante reggae etiopico, Zeleke (il movimento rastafariano è nato proprio in etiopia), che vive da molti anni in America, dove è molto vicino alla famiglia di Bob Marley; si mostra subito molto disponibile, nonostante intervalli le nostre conversazioni con telefonate, e ci invita a partecipare a un raduno reggae che si sarebbe tenuto nella città la sera stessa. Il nostro rientro, previsto proprio per la notte in arrivo, ci obbliga a declinare l’invito; la sua gentilezza, ed il suo sorriso, hanno comunque rallegrato le nostre ultime ore nella capitale.

Ceniamo tutti insieme abbastanza presto, in modo da essere all’aereoporto intorno le 22.00. Prima della partenza ritiriamo i nostri bagagli, ci facciamo le ultime foto insieme ed infine salutiamo Luca, Gelasio, Raffaele e Michele che si tratterranno in città ancora alcuni giorni, con già tanta tristezza, nostalgia e nessuna voglia di rientrare in Italia…

Il pulmino ci accompagna all’aereoporto e lì salutiamo anche Tesema, ottima guida e compagno di questo viaggio, bravissima persona alla quale tutti noi ci siamo affezionati.

Domenica 22 Gennaio 2012

L’aereo è atterrato a Roma Fiumicino alle 5,15 circa di mattina con un lieve ritardo. Il pulmino che ci aveva portati all’andata, ci aspettava già all’uscita del Terminal. Dopo un’abbondante colazione in autogrill, ci mettiamo in viaggio sulla strada del ritorno. Durante il viaggio, chi chiacchera, chi sonnecchia, chi ancora continua imperterrito a scattare fotografie (Massimo!); Silvia ci legge un articolo uscito sul quotidiano di Pontedera, con un’intervista rilasciata da Luca, dove racconta i fatti avvenuti nella famosa giornata del 17 gennaio.

Arriviamo a Pontedera intorno alle 10,10: con un primo gruppo ci salutiamo nello stesso parcheggio dell’andata con tanti baci e abbracci e con la promessa di mantenere i contatti e possibilmente di rivederci il prima possibile, mentre gli altri proseguono per la stazione ferroviaria. Gli ultimi a salutarsi sono Agnese, Jessica, Daniele, Massimo e Valentina.

Fine della storia, ma inizio di tante altre cose…

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